martedì 2 giugno 2009

Uto Ughi al Lyrick Theatre

Domenica prossima al Lyrick Theatre di Santa Maria degli Angeli (ore 17), Uto Ughi e i Filarmonici di Roma chiuderanno la terza edizione del festival "Assisi nel Mondo".
Il programma prevede l'esecuzione di "La casa del Diavolo" di Luigi Boccherini, di una fantasia brillante di Pablo De Sarasate su temi tratti dalla Carmen di Bizet e del Rondò capriccioso di Camille Saint Saens.
Come giudica il clima attuale che si respira in Italia per quel che riguarda la musica classica?
"Una pianta per crescere bene - risponde Uto Ughi - deve essere coltivata.
In Italia in questo momento è molto difficile, per chi svolge l'attività di concertista il terreno è minato da mille difficoltà, crisi economiche, sovrintendenze che non sono all'altezza del loro compito: allora il terreno in Italia sta diventando sempre più difficile."
Il fatto di aver vissuto un clima così favorevole. Come quello che regnava nella sua famiglia sin dalla sua infanzia, pensa che la abbia favorito?
"Penso di sì, è molto importante, è fondamentale.
Anche per gli stimoli che si ricevono dall'esterno. Io ho sempre cercato di contattare grande maestri: ho studiato con George Enescu, con Yehudi Minuhin.
Tutte le volte che vedevo un grande artista, lo studiavo approfonditamente, gli chiedevo dei suggerimenti.
Il contatto con i grandi musicisti per me naturalmente è stata la linfa vitale di tutta la mia vita."
Cos'è la musica per Uto Ughi?
"Una forma di esistenza, come la pittura per il pittore, la letteratura per lo scrittore, una forma d'arte su cui investire le migliori energie.
Ma, mi creda, non è mai finita perché il cammino è giornaliero, si cerca di raggiungere l'ideale interpretativo.
Non è che una volta che si è raggiunto qualcosa, lo si è raggiunto per sempre. Può semplicemente sfuggire il giorno dopo. Il difficile è mantenere sempre il contatto con la realtà della musica."
Ama il jazz?
"In certe forme sì, sono assolutamente originali. Esprime un altro mondo, una sensibilità forse meno sofisticata, ma molto fantasiosa."
Che differenza c'è tra un improvvisatore e un esecutore?
"Ma vede, anche nell'esecuzione delle note già scritte, degli spartiti, c'è sempre un'improvvisazione che viene dall'imponderabile del momento.
Non c'è mai niente di stabilito, di fisso, di definitivo: è sempre una ricerca. Per cui questa ricerca include lo stato d'animo, l'estro del momento. Anche nella musica classica c'è una grande componente di improvvisazione. Quando si ascoltano i concerti di Rubinstein, o di grandi artisti come Rostopovic non si sente mai due volte una musica ripetuta nello stesso modo.
C'è sempre un enorme spazio all'improvvisazione e all'immaginazione."
Cosa non ama in generale dei tempi che viviamo?
"La contaminazione, la volgarizzazione, il poco rispetto di certi autori che vengono riproposti come se fossero motivetti di musica più banale."
Nello scorso dicembre si innescò una vivace polemica con Giovanni Allevi…
"Mi sono già espresso, per cui preferisco non tornare su questo argomento.
Non ho niente di personale contro di lui ma quello che dovevo dire l'ho detto in quell'intervista."
Pensa che Allevi non abbia neanche il merito di aver fatto avvicinare molti giovani alla musica che non sia pop e rock?
"Ma non è questo il problema.
Il problema sono le dichiarazioni che ha fatto considerando se stesso un nuovo Chopin, un nuovo Mozart.
Assolutamente inammissibili. Di un'immodestia disumana."
É la musica l'elisir della sua eterna giovinezza?
"Eterni non siamo. Sa cosa diceva Toscanini, parlando di Mozart, di Schubert e di Mendelssohn? Che sono autori che non invecchiano mai: hanno un'eterna giovinezza nel loro spirito…"

Nessun commento:

Posta un commento